Nonostante il cibo sia necessario alla nostra vita, a volte alcuni alimenti possono provocare delle reazioni avverse o indesiderate. Queste reazioni possono essere indicate come allergie o come intolleranze. Le allergie si manifestano subito dopo essere stati a contatto con l’alimento che le scatena, anche con quantità molto piccole. Queste reazioni sono di breve durata, ma possono essere molto intense sino allo shock anafilattico. Per fortuna sono rare (allergia a noci, nocciole, arachidi, …) e in qualche caso scompaiono spontaneamente durante il corso della vita (allergia all’uovo).
Quando si parla di intolleranza, si devono fare delle distinzioni. Alcune intolleranze sono molto diffuse, come l’intolleranza al lattosio e l’intolleranza al glutine (celiachia). Queste intolleranze sono chiamate “enzimatiche” perché manca o non funziona adeguatamente l’enzima che dovrebbe metabolizzare rispettivamente il lattosio o il glutine. Gli enzimi sono sostanze di natura proteica che permettono vari processi, tra cui quelli coinvolti nella digestione. Se l’enzima non funziona, o non è presente in quantità adeguata, l’alimento non si riesce a digerire e si hanno sintomi come mal di pancia, diarrea, gonfiore, nausea ma anche reazioni cutanee, mal di testa, sonnolenza.
Ci sono poi degli alimenti che possono portare a sintomi non facilmente riconducibili al cibo perché si manifestano anche molto tempo dopo averlo ingerito.
I segnali di intolleranza possono essere molto sfumati come stanchezza, cefalea, emicrania, gonfiori addominali dopo i pasti, infezioni ricorrenti, dolori articolari, disturbi dell’umore, alterazioni cutanee dubbie (pelle secca, eczemi, orticaria, ecc.) e di difficile definizione. Sono sintomi che non sempre si riescono a correlare immediatamente all’alimentazione, ancor meno ad uno specifico alimento.
Come possiamo capire se un alimento scatena uno o più dei sintomi che ci interessano?
La diagnosi di intolleranza alimentare si può fare per esclusione: si individua il cibo sospetto, si elimina dalla dieta per 2-3 settimane e poi si reintroduce per altre 2-3 settimane. Se i sintomi scompaiono durante il periodo in cui viene abolito l’alimento e si ripresentano nel momento in cui viene reintrodotto nella dieta si tratta di una reazione avversa al cibo (fonte ISS). Tuttavia, non è certo semplice intuire quale alimento iniziare ad escludere e si dovrebbero fare infinite prove. E se non si opera nel modo corretto, oltre alla considerevole quantità di tempo necessaria, si rischia di incorrere in una alimentazione sbilanciata.
Una via per aiutarci in questa ricerca esiste: ci si può rivolgere in farmacia e chiedere consiglio per un test delle intolleranze alimentari.
Ogni sostanza che noi ingeriamo può essere interpretata come “estranea” dal nostro organismo, anche se dall’alimento estrae tutto quello di cui ha bisogno per vivere. Certi alimenti possono essere “mal giudicati” e suscitare sintomi, che, come abbiamo detto, possono essere molto variabili e la cui origine non è facilmente correlabile all’alimentazione. I test per le intolleranze alimentari cercano di capire se un alimento scatena una reazione più intensa rispetto ad altri e aiuta a trovare una via per trattare i sintomi che ne derivano.
Il test è semplice e prevede un piccolo auto prelievo di sangue capillare (da un polpastrello). Questo materiale viene inviato ad un laboratorio che elabora un referto chiaro e semplice da interpretare che identifica le sostanze che creano maggiore disagio. Uno volta individuate le sostanze coinvolte nei nostri sintomi, ci si deve rivolgere ad una nutrizionista per instaurare un corretto percorso per ristabilire un equilibrio tra il nostro organismo e l’alimento o gli alimenti indicati dal risultato del test.
Sostanze ad attività “farmacologica”
Le intolleranze possono manifestarsi anche per la presenza in alcuni cibi di sostanze ad attività cosiddetta farmacologica. Sono sostanze che vengono prodotte dall’intestino a partire da alcuni alimenti o sostanze già contenute in certi cibi. Ad esempio:
• Le amine vasoattive (come istamina, tiramina, feniletilamina) così chiamate perché agiscono sui vasi sanguigni e possono quindi alterare la pressione sanguigna. Cibi contenenti queste sostanze sono i pesci della famiglia degli sgombri, il pesce in scatola, alcuni formaggi, i cibi fermentati (birra, etc), i vini rossi, l’estratto di lievito, il cioccolato, il fegato di pollo, l’uvetta, la banana, l’avocado, le carni trattate, la panna acida, le fave;
• La caffeina che può dare ansia ed attacchi di panico;
• L’alcool etilico che può provocare calore e rossore cutaneo, nausea, vomito, tachicardia, ipotensione, sonnolenza;
•La capsaicina (nel peperoncino) che può causare eritemi e dolore cutaneo;
• La miristicina (nella noce moscata).
Articolo tratto da clubsalute.it